L’importanza del gioco per “imparare” le emozioni

Divertimento, entusiasmo, eccitazione, ma anche preoccupazione, paura, a volte perfino noia: non c’è gioco che non si accompagni a una o (più spesso) più emozioni.

“D’altra parte il gioco, che rappresenta sempre qualche piccolo frammento di ‘commedia umana’, è proprio il mezzo con il quale i bambini imparano a esplorare e conoscere il mondo, e dunque le emozioni, proprie e altrui”. Parola di Antonio Di Pietro, pedagogista ludico, al quale nostrofiglio.it ha chiesto di illustrare alcuni aspetti fondamentali della relazione tra gioco ed emozione, partendo da un’analisi delle più comuni attività ludiche dell’infanzia.

Gioco a due, con mamma e papà

“Pensiamo ai giochi ai due che i genitori fanno con i loro figli piccoli, come il cavallino sulle ginocchia, il battimani, le storie con le dita” racconta Di Pietro, che è anche presidente del gruppo di ricerca sul gioco dei Cemea, Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva. “Sono giochi che si fanno ‘a tu per tu’, a stretto contatto fisico, e nei quali si sperimenta una forma di comunicazione basata sulla capacità di ciascun giocatore di mettersi in ascolto delle emozioni dell’altro”. “Se mamma e papà modulano il proprio comportamento in sintonia con le ‘ reazioni emotive del bambino, per esempio arrestando i saltelli sulle ginocchia se lo ‘sentono’ teso e sfuggente, o intensificandoli se lo vedono ridere entusiasta, quello che accade rinforza una relazione basata sull’ascolto delle emozioni.  Avere consapevolezza dell’importanza del dialogo emotivo’fra adulto e bambino durante i giochi a due può risultare per un figlio un buon esempio da mettere in pratica anche in contesti al di fuori di quelli ludici”.

Gioco simbolico

Altro esempio è il gioco simbolico, uno di quelli più praticati dai bambini fino a cinque/sei anni, nel quale il bambino può anche decidere quale emozione mettere in scena e in quale ruolo recitare. “A volte – racconta Di Pietro – mettono in scena loro stessi: facciamo che io ero il bambino e tu (rivolto alla mamma) la mia mamma, oppure facciamo che io ero la sorellina piccola e tu (rivolta al fratello grande) il fratello grande. In questo modo possono ripercorrere emozioni che hanno provato in particolari situazioni, magari la rabbia durante una lite, oppure la gelosia per il fratellino appena nato, o la gioia per un regalo”. “Altre volte in questo ‘far finta di…’ i bambini giocano a mettersi nei panni degli altri: facciamo che ero la maestra, che ero il papà, e durante il gioco può capitare di fare il papà triste o felice, la maestra arrabbiata o serena”. Anche se da fuori può sembrare semplice, si tratta di un esercizio molto complesso di esplorazione dell’universo emotivo, nel quale il bambino, imitando, formula interpretazioni proprie e personalizzazioni di situazioni ed eventi che può avere vissuto o che immagina. Spesso le emozioni esplorate con queste finzioni sono molto forti, ma il fatto di arrivare a “toccarle con mano” in una cornice che è quella del gioco, che può essere spezzata in ogni momento, aiuta a non farsi coinvolgere troppo. Se il coinvolgimento comunque arriva – per esempio quando il bambino che gioca ad essere arrabbiato si arrabbia davvero, o la bambina che sta facendo la pecora inseguita dal nonno-lupo comincia sul serio a spaventarsi – basta interrompere il gioco per recuperare il controllo. Fonte nostrofiglio.it

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